L’amore è lo stesso dovunque si vada…

8 giugno 2009
Tema: Pensieri

Mi ricorderò sempre del giorno in cui riappoggiai, dopo sei mesi passati in Rwanda, le piante dei miei piedi in Europa. L’aereo che mi avrebbe riportato a casa faceva scalo a Bruxelles. Mi ritrovai in una costruzione mastodontica tra vetri, luci colorate, pavimenti piastrellati e strade asfaltate.
Probabilmente il mio amico Patrik, se fosse stato lì con me, mi avrebbe chiesto perplesso dov’è che la gente coltivava i fagioli o come le costruivano le case senza fango.Dov’era la terra? Dove lo seminavano il granoturco? Meravigliato si sarebbe risposto che sicuramente nel mondo dei bianchi, gli abazungu, il cibo cresceva sugli scaffali e si “raccoglieva” nei supermercati con i soldi che uscivano dai muri delle banche.

Anche se immaginavo che a pormi questo tipo di domande fosse Patrik, che mai aveva lasciato il suo villaggio di Kivumu, la confusione che avevo nella testa al momento dell’impatto con l’Europa mi portava a una serie di ragionamenti non molto diversi. Quando si passa tanto tempo in un posto è facile credere che il mondo sia bene o male tutto uguale a dove ci si trova e in quel momento per me era difficile accorgermi di non essere più in Rwanda.

Il Rwanda è la terra di milioni di bambini, delle distese di banani, caffè e manyoca, di colline verdi e rosse, di uccelli, mucche e pecore, di foreste, fiori, laghi e scimmiette scorbutiche…
Il Rwanda è la polverosa stagione secca e la benedetta fangosa stagione delle pioggie…
Il Rwanda è il cielo di notti completamente nere, di rari lumini ma di milioni di stelle sicure…
Il Rwanda è la casa dei poveri e dei ricchissimi, degli umili, dei volenterosi e dei disperati…
Il Rwanda è la vocazione di molti uomini che vivono per tutti loro, il traguardo di eroi pronti a condividere salario e tetto con chi sotto un tetto non si è mai potuto riparare…
Il Rwanda è l’ospitalità dei contadini e le attenzioni dei vicini…
Il Rwanda è mangiare un piatto di riso dalle mani di chi l’ha coltivato e ha otto figli da sfamare, ma che mai si sognerebbe di non dare da mangiare a un forestiero di passaggio…
Il Rwanda fa paura alla gente che non sa interpretare le notizie diffuse dai media e che pensa che ci sia un legame diretto tra povertà, disperazione e cattiveria…
Il Rwanda è troppe altre cose impossibili da spiegare…

Il Rwanda è rimasto indietro per molti aspetti ma, anche se su ritmi diversi, vive i nostri stessi sogni, gli orrori del genocidio sembrano nascosti da un unico grande velo e dalla paura di parlarne, ma anche dalla voglia di tornare a sorridere, cantare e ballare sopra i taxi della piazza.

Il Rwanda c’è ed è vicino ma spesso, con la nostra pigrizia, lo immaginiamo lontano. Ho visto gente stare bene in Rwanda come nella mia città; con stare bene non intendo avere sempre la pancia piena e il corpo in salute, ma essere saturi di quello che è il nostro bisogno principale, l’amore. L’amore che noi diamo per scontato esista ma che, nascosto insieme alla terra sotto gli strati di cemento, sentiamo poco fino a ridurci a sperare nell’amore invece che crederci o a vederlo limitato solo nell’unione di un uomo con una donna. L’amore, il semplice e puro desiderio di un sorriso altrui, niente di più.

Partiamo per questa fantastica terra ma non dimentichiamo mai da dove veniamo. Ricordiamoci sempre che spesso le persone che lasciamo qui nella comoda Milano potrebbero avere ancora più bisogno di noi. Il bisogno che credo si misuri solo in base a quanto si soffra e non in base alla quantità di beni che si possiede. Abbandoniamo le nostra fame di volti e lingue nuovi, di cieli diversi e tempi orientali, la nostra fame di percorrere strade incerte, di ricercare quello che pensiamo non conoscere e apriamo gli occhi per guardarci vicino.

Qui a casa ho la certezza di potere stare accanto almeno a tre persone per poter strappargli ogni giorno un sorriso… Quando non ci sarò devo tenere conto anche di questo.